Ten Weekly Lessons: Week 14

Articolo a cura di PlayitUSA

1) LA FANTASTICA STAGIONE DEGLI EAGLES POTREBBE NON ESSERE FINITA QUI

Siamo abituati ad effettuare calcoli matematici molto semplici quando parliamo di discipline sportive, dove tutto – più o meno – corrisponde alla classica somma di uno-più-uno-uguale-a-due. Nel caso degli Eagles e dello sfortunatissimo infortunio che elimina Carson Wentz dal quadro che vedeva Phila tra le favorite alla conquista del Super Bowl è logico eseguire lo stesso esercizio e pensare che senza il quarterback titolare la squadra non farà molta strada nei playoff, dobbiamo però fare affidamento sul fatto che il football è pur sempre fatto di variabili, schemi e tattica, e si muove attraverso un numero infinitesimale di fattori.

Gli istinti di Carson Wentz non si possono sostituire, la non tangibilità di ciò che gli permette di sopravvivere nella tasca, di restare fermo fino all’ultimo secondo disponibile prima di mollare il pallone e ricevere il colpo del difensore, la capacità di realizzare mete anche su doppia copertura sono doti di improvvisazione non replicabili in quanto personali. Tuttavia gli Eagles sono una squadra ricca, ricchissima di talento, ed il cambio di quarterback potrebbe non essere così catastrofico come si potrebbe altrimenti presumere. Non significa certo che Philadelphia giocherà il Super Bowl così come se nulla fosse accaduto, però Nick Foles nelle giuste condizioni è un giocatore che ha reso più di qualche soddisfazione, ha esperienza, e pur essendo propenso di tanto in tanto all’intercetto scagliato nel momento meno opportuno può godere di un sistema offensivo che può permettergli di sbagliare il meno possibile.

La capacità di coach Pederson nel modificare gli assetti dell’attacco sarà ciò che farà girare in bene o in male il prosieguo della stagione degli Eagles, a roster ci sono tanti running back che possono fare la differenza in differenti situazioni di gioco, basta mettere assieme la fisicità di Blount, il tasso atletico di Ajayi, la capacità di creare big play di Clement, peculiarità cui vanno sommati lo straordinario momento di forma di Jeffery, la sopraggiunta affidabilità di Agholor, e la consistente batteria di tight end. E non dimentichiamo che dall’altra parte della barricata c’è pur sempre una difesa tostissima, che si è adeguatamente misurata con tutti gli attacchi affrontati.

2) IL CONCUSSION PROTOCOL E’ PESANTEMENTE SOTTO ESAME

C’è polemica nella Nfl, ed è corretto che ci sia dato che al di là dello spettacolo domenicale ci sono delle persone umane che rischiano il proprio futuro per far divertire il pubblico, non dimentichiamolo mai. L’esempio più lampante è il recente infortunio di Ryan Shazier, la cui non conoscenza della relativa sorte nell’immediato futuro è un qualcosa che crea sicuramente tensione e che si deve valutare giorno per giorno auspicando nel miglioramento graduale e nella ripresa delle facoltà motorie, ma di alternative ce ne sono tantissime.

Il focus della questione va per forza di cose su Tom Savage, la cui gestione del trauma cranico subito domenica non è stata impeccabile nonostante la folta schiera di medici neutrali predisposta dalla Lega e la possibilità di rivedere i colpi attraverso i numerosi replay che tutti i mega-schermi installati negli stadi permettono di valutare più e più volte. A Savage è stato permesso il rientro in campo dopo un sack dal quale ha ricavato un forte colpo alla testa, a seguito del quale ha manifestato chiari sintomi di trauma cranico (gli spasmi alla mano, per esempio), un fatto da ritenersi grave se relazionato a quando prescritto dal protocollo da seguire per la materia specifica, che ordina di portare negli spogliatoi qualsiasi giocatore per un esame completo anche in caso di solo sospetto.

Il giocatore, pur di non lasciare a piedi i compagni spesso fingerà che nulla sia accaduto e questo lo sappiamo tutti, certo è che dinanzi all’evidenza dei fatti (ci sono i replay, ci sono dottori che assistono dagli spalti, altri che interagiscono con i medici di squadra) i provvedimenti presi domenica sono stati a dir poco superficiali. Savage è l’esempio più recente che, per questioni temporali, ricordiamo. Purtroppo non è il primo in questa stagione e temiamo possa non essere l’ultimo, perché altri giocatori sono stati rispediti in campo a seguito di colpi che nei giorni successivi si sono rivelati essere traumi importanti alla testa.

Urge rimedio prima che la situazione precipiti.

3) ANTONIO BROWN STA GIOCANDO DA MVP

Potrebbero costruirgli una statua fuori dall’Heinz Field, magari un giorno succederà pure, potrebbero chiamarlo “The Savior” e nessuno avrebbe nulla da ridire. Antonio Brown sta letteralmente salvando la stagione degli Steelers per quanto ciò possa sembrare strano da sostenere per una squadra attualmente detentrice della prima posizione assoluta della Afc, la quale senza alcune giocate determinanti del suddetto wide receiver potrebbe oggi non ritrovarsi in questa piacevolissima situazione.

Parliamo anche ma non soprattutto delle abbondanti 1.500 yard che il buon Antonio ha fatto registrare fino a questo momento evidenziando uno stato di forma strepitoso, confermandosi quale giocatore sostanzialmente incontenibile la cui produzione aumenta esponenzialmente quando la sua squadra ne ha maggiormente necessità. Se Mvp significa far rendere meno la squadra levandole un pezzo determinante, allora Brown può offrire notevoli credenziali mostrando gli esempi di tutte le ricezioni che hanno risolto in positivo una gara degli Steelers, senza le quali Big Ben e compagni potrebbero tranquillamente possedere due o tre vittorie in meno, ed è questo il calcolo che conta molto di più della produzione complessiva.

Isolando le varie situazioni che il soggetto del paragrafo ha sbrogliato nell’ultimo mese ne deriva che: 1) ha salvato gli Steelers sotto nel punteggio contro i Packers a diciassette secondi dal termine, ricevendo due palloni per 37 yard che hanno permesso il field goal della vittoria a Chris Boswell; 2) ha segnato la meta del pareggio con tre minuti da giocare contro i Bengals spostando l’inerzia di in una partita durissima ed imprevedibilmente difficile da gestire a causa degli animi surriscaldati dai precedenti tra le due rivali; 3) ha preso il pallone decisivo trasformandolo in un guadagno di 34 yard nel finale della pazza gara contro i Ravens permettendo un altro field goal vincente.

Al curriculum va aggiunto il fatto che Brown potrebbe battere il record in singola stagione per yard ricevute (detenuto da Calvin Johnson con 1.964), che ha tre stagioni sopra le 1.500 yard stagionali ed è dietro al solo Jerry Rice che ne ha una in più, e che in stagione ha registrato sei prestazioni superiori alle 140 yard, con la punta delle 213 portate a casa contro Baltimore. Nessun altro ricevitore sta dominando in questo modo, e per l’importanza rivestita per le sorti di una Pittsburgh che oggi guarda tutti dall’alto, una forte considerazione per il premio di Mvp stagionale gliela daremmo più che volentieri.

4) DAVANTE ADAMS STA PERMETTENDO AI PACKERS DI SOPRAVVIVERE

Sostituire un sommo campione come Aaron Rodgers non è facile per nessuno, ma i Packers hanno dimostrato di poter sopravvivere anche con Brett Hundley a dirigere le operazioni. I meriti vanno come sempre suddivisi, ma una notevole quantità di essi ci sentiremmo di indirizzarli in direzione di Davante Adams, che all’interno del rettangolo di gioco in queste ultime settimane ha letteralmente fatto ogni cosa gli sia passata per la testa a livello di ricezioni importanti.

Nel football è spesso difficile tracciare dei confini netti per stabilire dove comincino i meriti di qualcuno e finiscano i demeriti di qualcun altro, ma gli indizi rilasciati da Adams portano a pensare che il giocatore possa essersi definitivamente sviluppato in uno di quei ricevitori in grado di rendere la vita più facile al proprio quarterback, e non il contrario. Se con Rodgers la situazione è esattamente inversa, era chiaro che Hundley avesse bisogno di una grossa mano da parte dei suoi playmaker per emergere da uno stato di difficoltà non indifferente e da una pressione – anche mediatica – quasi asfissiante, ed Adams da questo punto di vista si è rivelato essere il suo miglior amico. Da quando è titolare Hundley ha lanciato otto passaggi da touchdown totali, dei quali cinque sono stati recapitati direttamente nelle mani del suddetto ricevitore. La percentuale di connessione tra i due è del 68%, superiore rispetto al 63% dei passaggi che Hundley ha completato verso gli altri componenti dell’attacco, e Adams sta ricevendo con una media di quasi 12 yard per completo sin dal momento in cui Rodgers è caduto vittima del suo infortunio.

Un sostegno importantissimo, dunque, suggellato da una prestazione maiuscola in occasione della partita di domenica contro i Browns, nella quale Adams ha estratto nuovi numeri pirotecnici per tirare fuori la squadra da un guaio molto grosso. In caso di sconfitta le conseguenze avrebbero ulteriormente allontanato le poche speranze dei Packers di riacciuffare il treno della postseason, ed avrebbero – fatto forse anche peggiore – consentito la prima vittoria stagionale ai Browns, ambedue eventi sventati da una prestazione nella quale Adams non solo ha raccolto dieci dei dodici passaggi che Hundley gli ha direzionato, ma ha eseguito tutte le giocate determinanti per la rimonta. A lui sono da ricondurre i punti che sono valsi il pareggio a diciassette secondi dal termine della partita forzando l’overtime, nonché quelli della vittoria al supplementare, giunti con una ricezione e corsa di 25 yard terminata direttamente nel tunnel degli spogliatoi di Cleveland.

Ora, con tre gare rimaste, le percentuali di riuscita nel miracolo di raggiungere i playoff non sono molte, ma qualora accadesse l’impensabile ci si ricordi di Davante Adams, e di come il ragazzo si sia preso sulle spalle un attacco che non avrebbe dovuto giocare così bene senza il suo indiscusso asso con il numero dodici.

5) DEREK CARR E’ IN PIENA REGRESSIONE

E’ fin troppo evidente il come le cose non abbiano seguito le rosee prospettive iniziali che i Raiders tenevano in caldo per la presente stagione, che li attendeva al varco quali protagonisti di spicco nella Afc e possibili concorrenti in grado di dare fastidio all’egemonia dei Patriots. Molti degli sguardi si stanno poggiando sulle prestazioni di Derek Carr, ovvero il giocatore responsabile del salto di qualità offensivo fatto registrare nel 2016 da una squadra che senza il suo infortunio avrebbe potuto giocare almeno un’altra partita di playoff, costringendo a rimandare gli ulteriori progressi proprio al presente campionato, il cui proseguimento verrà visto da Oakland con tutta probabilità dal comodo divano di casa.

Il fatto che i Raiders non faranno nemmeno i playoff non è di intera responsabilità di Carr perché molti fattori sono intervenuti a far girare in maniera storta la stagione – vale la pena menzionare l’infortunio alla schiena di Carr medesimo e la malmessa caviglia di Amari Cooper – tuttavia quello che si vede oggi giocare non è il quarterback sicuro nei suoi mezzi capace di creare big play dal nulla e di leggere correttamente lo sviluppo delle tracce dei suoi ricevitori, due fattori che indicano una chiara regressione. Non aiuta il fatto che il giovane Carr non abbia potuto usufruire di una sempre preziosa continuità di presenza da parte di chi è incaricato a stilare il piano di gioco offensivo e chiamare gli schemi, dato che nella sua esperienza professionistica ha avuto a che vedere con quattro coordinatori ed altrettante terminologie e filosofie differenti, e che quella in grado di cucirglisi addosso meglio di tutte era quella di Bill Musgrave, lasciato andare al termine della scorsa annata.

Il sistema offensivo del 2016 portava qualche breve apparizione in campo di troppo ma compensava il tutto con grandi giocate aeree in grado di fruttare parecchi punti facendo risaltare l’estrema qualità nella precisione dei palloni profondi di Carr, mentre i metodi dell’attuale coordinator Todd Downing non sono esattamente esplosivi. Questo non nasconde la sensazione che il quarterback abbia in qualche modo perso fiducia, o in se stesso o nel sistema, e non viva più con l’entusiasmo che le sicurezze dello scorso anno riuscivano a generare. I replay di diverse azioni hanno fatto notare la mancata lettura di un ricevitore smarcato in situazione di singola copertura a favore di lanci nell’intermedio che oltre a non coprire le distanze desiderate procurano colpi mortiferi ai ricevitori, e la prestazione contro Kansas City con una posta altissima in palio è stata altamente deludente.

Carr ha grande talento, la sua tecnica non si discute, ma serve qualcuno che lo aiuti a resettare la mente e riprendere da dove aveva terminato nel 2016. Solo così i Raiders potranno tornare a recitare un ruolo da protagonisti anziché sparire dal campo per tre quarti nella partita che poteva riaprire i discorsi per la vetta divisionale.

6) IL FASCINO DELLE PARTITE SULLA NEVE E’ INSOSTITUIBILE

Capita poco, ma quando accade ci si diverte sempre tantissimo. Il saggio ed ammirato Flavio Tranquillo, durante uno special andato in onda nei primi anni novanta sull’allora Tele+, ci insegnò che una delle sacre regole del football americano prevede che si giochi con qualsiasi condizione meteorologica, pioggia, neve, diluvio universale, caldo infernale, chi più ne ha, più ne metta. Siamo sempre rimasti affascinati da quella definizione, da quel rispetto per il gioco, da quella voglia di scendere in campo e di assistere alla partita che supera ogni logica conosciuta qui da noi.

Il football è eccezionale perché si basa sulle variabili, e lo diventa ancor di più quando ad esse si aggiungono dinamiche completamente differenti date dagli agenti atmosferici. La sensazione della nostra prima neve Nfl è speciale, è necessario risalire alla stagione 1993, giorno del Ringraziamento più precisamente, ricordando quella strana ed inconsueta nevicata che colpì una Dallas (!) che ospitava Cowboys e Dolphins. La partita, già straordinaria per il difficilmente ripetibile contorno, terminò con uno degli epiloghi più pazzi di sempre, con il calcio della vittoria di Miami bloccato ed il pallone spedito in mezzo alla neve fresca, ma rimesso in gioco dalla letterale pazzia di Leon Lett, che ci scivolò contro facendolo diventare nuovamente giocabile, e ricoperto dai Dolphins sulla linea delle 3 yard. Per Pete Stoyanovich, il kicker, il compito si facilito’ non di poco, e i Dolphins vinsero quella partita per 16-14 senza Dan Marino e contro i futuri campioni Nfl.

Un ricordo fantastico che viene rievocato ogni qualvolta la neve si impadronisce di piazze più consone come Green Bay, Cleveland, Boston ed appunto Buffalo, che domenica ha visto esibirsi Bills e Colts fornendo uno spettacolo offensivo statisticamente povero ma ugualmente divertente, dove ciascuna squadra si è dovuta inventare un metodo per riuscire a portare avanti il pallone in maniera consistente. Ricordiamo le difficoltà sconfitte da Gore e McCoy nell’effettuare tagli scivolosi senza riuscire a toccare per bene il fondo del terreno e produrre ugualmente due gare numericamente elettriche, il ricevere i passaggi per girarsi con secondi di ritardo rispetto al solito e trovarsi già il difensore addosso, tutte le lunghe e laboriose operazioni di scavo improvvisate da Indianapolis per permettere il field goal di Adam Vinatieri, e la festa terminata a palle di neve dopo il touchdown con il quale McCoy ha regalato ancora speranze per raggiungere i playoff, alimentate dai risultati favorevoli giunti dagli altri campi.

Quando il campo è tutto bianco, il divertimento è assicurato.

7) IL LAVORO SVOLTO DA JAY GRUDEN SARA’ OGGETTO DI APPROFONDITO SCRUTINIO

I tifosi dei Redskins stanno assaporando qualcosa di familiare in questo periodo, sembra un disco rotto, un loop, chiamatelo come meglio credete, la sostanza non cambia. La squadra non si è dimostrata, per l’ennesima volta, competitiva per poter puntare ai playoff con cognizione di causa. A Jay Gruden va l’indubbio merito di aver fornito un certo qual tipo di stabilità all’interno di un’organizzazione carente oramai da un ventennio, è stato l’unico coach del regime Snyder a centrare due stagioni consecutive con un record vincente, ha sviluppato Kirk Cousins ricavando un titolare fisso da un giocatore che pareva avere solamente delle prospettive da backup vincendo la scommessa nel servire la panchina a Robert Griffin III, ha fatto uscire con dignità la squadra dal caos creato dal termine dell’era-Shanahan offrendo la propria guida e la propria direzione tecnica senza seguire le logiche suggerite dai mass media.

Tutto molto apprezzabile, ma il bilancio di questo quadriennio parla in ogni caso di 26 vittorie, 34 sconfitte, 1 pareggio. Ma soprattutto parla della sensazione di cui sopra, quella attraverso cui Washington abbandona le speranze di postseason ancora una volta anzitempo rispetto alla chiusura della regular season, di una sola gara di playoff disputata (e persa) in questo ciclo, e soprattutto delle modalità con cui i Redskins sono stati estromessi dal rush finale, ovvero con due sconfitte pesantissime che hanno evidenziato forti squilibri nei valori proposti in campo sia contro i Cowboys (peraltro sull’orlo del precipizio prima di propinare la disfatta…) che contro i Chargers, segno che qualcosa non ha funzionato nelle economie dell’ispirazione motivazionale.

Pur dovendo fare i conti con la pesante situazione a livello di infermeria, essa non può fungere da totale scusa perché altrimenti non si spiegherebbero prestazioni di notevole caratura come quella di Seattle, con quattro quinti di linea offensiva inventati dal nulla e giocatori fuori ruolo, riportando il tutto ad una semplice logica di mancanza di concentrazione nell’ottenimento dei traguardi del finale di stagione, un aspetto determinante per valutare nel loro complesso le capacità di un capo allenatore. Gruden male non ha fatto, ma poteva senz’altro produrre in maniera migliore di questa ed è titolare di un prolungamento contrattuale accordatogli nove mesi fa, proprio nel momento in cui la terrificante vicenda-Scot McCloughan si è conclusa con un altro segno di instabilità programmatica.

Dunque, le ultime tre partite di campionato non saranno del tutto inutili, e serviranno se non altro a testare le capacità reattive della squadra a livello mentale, ed a capire come direzionare il futuro del roster e dello staff, anche se ciò non copre il resoconto di questi quattro anni, dove progressi significativi che possano porre i Redskins in competizione per un certo numero di anni non ne sono stati affatto compiuti.

8) LARRY FITZGERALD E’ DA RECORD, MA NON VERRA’ RICORDATO SOLO PER QUESTO

Larry Fitzgerald, con pochi dubbi un futuro Hall Of Famer, ha riscritto i libri di storia raggiungendo il terzo posto assoluto d’ogni epoca per yard ricevute in carriera sorpassando Randy Moss, l’idolo della sua gioventù nonché tutore della sua carriera scolastica fin dai tempi in cui Fitz faceva il ball boy per i Minnesota Vikings. Ricordare un giocatore per i numeri ci sta, sono segni di longevità incredibili per una disciplina sportiva con la quale si rischia di veder terminare la carriera da un momento all’altro, e questo non solo per gli infortuni, ma anche perché il College sforna continuamente giocatori più freschi, più giovani, più scattanti di quelli che sono oggi i protagonisti principali del gioco. Tuttavia, sentiamo che il ricordo di Larry Fitzgerald nel momento in cui deciderà di ritirarsi sarà soprattutto legato alla sua grande etica lavorativa, alla sua umiltà, al suo essere da esempio per i più giovani, al suo aver giocato tutta la carriera con la stessa uniforme nel bene e nel male.

E’ arrivato nella Nfl quando ancora i Cardinals erano da anni una squadra per lo più perdente che non riusciva mai a raggiungere i playoff nemmeno nei sogni più rosei, contribuendo a trasformare la cultura di quello spogliatoio fino a sfiorare il titolo assoluto nel Super Bowl XLIII perso contro gli Steelers, dove lui stesso aveva acceso le illusioni segnando una fantastica meta di 64 yard a due minuti e mezzo dal termine della partita prima che Big Ben e Santonio Holmes confezionassero uno dei miracoli più memorabili di tutti i tempi. Fitzgerald è rimasto al suo posto durante gli anni bui sotto Ken Wisenhunt, ha creduto nei Cardinals ed ha avuto ragione partecipando alla resurrezione governata da Bruce Arians, ha accettato il nuovo ruolo propostogli passando da ricevitore esterno alla posizione di slot, certamente meno gettonata, ma in grado di allungargli la carriera. Non ha immediatamente accettato il cambiamento di buon grado, ma si è messo al servizio della squadra.

Quando Fitzgerald avrà la sua meritata statuetta nella Hall Of Fame ed il numero ritirato dai Cardinals non sarà solo per i numeri. Quelli può farli anche Terrell Owens, chiaro, ma poi il rischio è sempre quello di essere ricordati anche per le bizze con gli allenatori, gli egoismi, i litigi con il proprio quarterback, le destabilizzazioni del proprio spogliatoio, il venire prima della squadra. Ovvero tutto ciò che Larry Fitzgerald non ha mai rappresentato, e mai rappresenterà.

9) INTERPRETARE LE AMBIZIONI DEI PANTHERS E’ ASSAI DIFFICOLTOSO

Una delle maggiori difficoltà provate in questa stagione è stata quella di pesare correttamente le ambizioni dei Panthers. La squadra, come già sottolineato a settimana scorsa, può essere considerata più o meno forte a seconda del numero di errori che riesce ad evitarsi, essendosi rovinata la vita da sola in due o tre circostanze abbastanza evidenti, in particolare modo contro le contendenti più attrezzate della sua Conference. In stagione i Panthers sono quelli che per nessun motivo sono riusciti ad avere la meglio sui Saints, due sconfitte in due tentativi, che sono andati vicini a mettere in seria difficoltà gli Eagles perdendo per colpe esclusivamente proprie, che hanno perso una partita ignobile contro i Bears e che domenica hanno messo sotto i Vikings nonostante il gioco di passaggi non abbia esattamente funzionato alla grande.

Dura, dunque, fornire una precisa valutazione in ottica playoff di una squadra così ostica da interpretare, e l’idea è che Carolina sia ideale per rivestire il ruolo della possibile sorpresa che in singola partita può mettere in ginocchio più o meno chiunque. Sosteniamo questo perché i Panthers hanno più volte dimostrato di saper gestire situazioni di difficoltà e di saper reagire durante lo svolgimento della gara, ed hanno eseguito questo particolare sforzo soprattutto nei quarti periodi, quando è necessario far uscire tutte le giocate che decidono la propria sorte. Un piccolo trend lo si può in ogni caso individuare attraverso le corse, nel senso che quando il gioco a terra produce parecchio i Panthers sono difficilissimi da contrastare, e quando il front seven riesce a limitare contemporaneamente i running back avversari le possibilità di vittoria schizzano ulteriormente verso l’alto.

La squadra è più che sufficientemente allestita per scontrarsi con il meglio che la Nfl abbia da offrire – senza i due errori in redzone contro gli Eagles, Carolina sarebbe 3-0 contro Philadelphia, Minnesota e New England – e la lieta combinazione che ha portato Atlanta a sconfiggere New Orleans ha rimesso in discussione il trono della Nfc South, con in palio una Wild Card da giocarsi in casa ed una partita ancora aperta per il seed numero due. Il bello è che allo stesso tempo i difficilmente interpretabili Panthers dovranno continuare a non sbagliare nulla, perché Seattle e tutte le inseguitrici sono lì ad attendere solo che qualcuno inciampi e cada rovinosamente.

10) I BROWNS HANNO MOSSO L’ENNESIMO PRIMO PASSO VERSO LA RICOSTRUZIONE

Sono riusciti a perdere mettendoci tutto l’impegno possibile, ma se non altro i Browns hanno ricominciato – per l’ennesima occasione – il loro percorso di ricostruzione. La notizia confortante è che non si potrà mai fare peggio di così, e che dal fondo si possa solamente spiccare un balzo verso l’alto. Sappiamo che questo era già stato stabilito in precedenza e ripetuto in innumerevoli circostanze, così come tutti conoscono bene ciò che è accaduto in seguito, ma la speranza è che John Dorsey, nuovo incaricato del ruolo di General Manager a capo delle decisioni gestionali della franchigia, possa far fruttare tutta l’esperienza acquisita in carriera.

La decisione di Cleveland ha dato e darà modo di discutere a lungo per le nubi d’incertezza addensatesi sull’ottemperanza della famosa Rooney Rule per dare equità di opportunità lavorative anche alle minoranze etniche (tra licenziamento e nuova assunzione sono passate 10 ore…), argomento sul quale il proprietario Jimmy Haslam ha glissato lasciando un alone di mistero dietro alle dichiarazioni di facciata, e rappresenta un ritorno al tradizionale modo di operare rinunciando all’innovazione statistica di Sashi Brown favorendo quanto raccolto da Dorsey dal 1991 ad oggi. Brown non ha lavorato male e questo ci terremmo a sottolinearlo, se la offseason di Cleveland porterà parecchio spazio salariale e scelte alte al Draft il merito è esclusivamente suo per aver creato il panorama, toccherà poi a Dorsey dipingerlo con i migliori colori che riuscirà a tirare fuori.

Brown ha scelto ventiquattro giocatori durante la sua esperienza e molti si sono rivelati essere azzeccati (Emmanuel Ogbah, Myles Garrett, Jabrill Peppers, Spencer Drango, Shon Coleman, Joe Schobert, David Njoku), ed a personale modo di vedere ha pagato il fatto di non essere riuscito, nonostante la quantità di munizioni a disposizione, a scegliere il franchise quarterback del futuro indirizzando a Philadelphia la scelta che si è poi rivelata essere Carson Wentz. Ed i risultati di quella decisione non occorre certo spiegarli, specialmente paragonando l’impatto tellurico dell’ex North Dakota State rispetto alle enormi difficoltà patite da Cody Kessler e Deshon Kizer, ambedue selezionati molto al di sopra del loro effettivo valore. Chissà se un ruolo possa essere stato giocato anche dal fallimento della trade per A.J. McCarron, un altro pasticcio tipico di Cleveland, ma qui si possono fare solo delle supposizioni.

La speranza è che il curriculum di Dorsey porti a Cleveland la tanto promessa aria fresca, e che le vittorie possano tornare d’attualità. Siamo parlando di una persona che ha contribuito a portare a Green Bay Aaron Rodgers e Clay Matthews, e che a Kansas City ha costruito una squadra competitiva che ha fatto la postseason in tre delle sue quattro stagioni dietro la scrivania dei Chiefs. Le premesse sono ottime, ma serve indirizzare le prossime scelte alte nella maniera più corretta possibile.