Focus sui contratti NFL: i giocatori non ci stanno più

Aaron Donald, Khalil Mack, Earl Thomas, Julio Jones, Le’Veon Bell, David Johnson e Taylor Lewan hanno tutti una cosa in comune, ovvero non stanno prendendo parte agli allenamenti di questa offseason in attesa di un nuovo contratto e per qualcuno, Bell e Donald, questa è la seconda estate trascorsa nel silenzio aggressivo-passivo -ma neanche tanto- dell’holdout.

Articolo a cura di PlayitUSA

A questa lista potremmo pure aggiungerci Odell Beckham Jr. ed Aaron Rodgers, entrambi pronti -sopratutto Rodgers- a battere cassa e sebbene non si stiano rendendo protagonisti di un improbabile mexican standoff come i signori appena elencati, chiedersi il perché di tutto ciò diventa piuttosto scontato: è necessario arrivare fino a questo punto?
Perché i giocatori NFL, a differenza dei colleghi NBA, non riescono a monetizzare come dovrebbero?
Certo a qualcuno sentire lamentele da gente che in un solo anno percepisce cifre che noi comuni mortali avremmo bisogno di una decina di vite solo per poterci avvicinare potrebbe causare ilarità , ma occorre sempre tenere presente un semplice e basilare fatto: è stato dimostrato che il football americano compromette irreversibilmente la salute a lungo -e pure a breve- termine dei propri giocatori, perciò è comprensibile che questi ragazzi vogliano capitalizzare finché abili ed arruolabili e, soprattutto, finché in grado di camminare sulle proprie gambe.
Per quanto i 17 milioni in media di Brown possano invogliare chiunque a mettersi elmetto ed armatura, non dimentichiamoci che questi signori devono essere al loro massimo della loro forma fisica per dieci o quindici anni e che spesso dopo un paio di anni il loro fisico si trova in condizioni simili a quelle di un ottantenne per quanto riguarda dolori e fastidi vari.

Le richieste di Bell sono note da tempo, ora la palla passa al front office degli Steelers.

Prendiamo il caso di Le’Veon Bell, giocatore storicamente frustrato dal continuo ostracismo della dirigenza degli Steelers e che ha esternato il proprio desiderio di essere pagato in più modi ed in più riprese: dal 2013, anno in cui è stato draftato, solo tre giocatori hanno avuto più portate ed i 121 tentativi in meno di McCoy perdono completamente di valore se si tiene presente che il numero 26 di Pittsburgh ha giocato ben 13 partite in meno dell’agile halfback dei Bills. Ma non è finita qui, cari miei lettori, in quanto nessun runningback si avvicina alle 312 ricezioni registrate fino a questo momento: facendo dei facili calcoli, Bell tocca in media il pallone 25 volte a partita ed a questo punto, nonostante le sole ventisei primavere sulla sua carta d’identità, l’usura ed il deperimento fisico sono fattori da tenere pienamente in considerazione in caso di un suo possibile declino delle prestazioni e fidatevi, pure chi gli farà la corte ed eventualmente gli offrirà un contratto avrà ben presente tutto ciò. Dunque, il suo ardente desiderio di essere pagato come meriterebbe lo si può anche interpretare come la singolare angoscia che solo un giocatore NFL può conoscere, quell’angoscia per la quale il futuro non è mai abbastanza chiaro ed ogni singola partita può veramente tramutarsi nell’ultima.
Cosa può fare arrivato a questo punto un giocatore? Non prendere parte agli allenamenti estivi sembra l’unica soluzione ragionevole, in quanto è vero che la franchise-tag paga e pure profumatamente, ma è un modo abbastanza meschino di spremerlo fino al midollo senza impegnarsi in contratti a lungo termine per proteggersi da eventuali imprevisti: molto astuta come mossa, anche se l’eticità in pratiche del genere non è facilmente riscontrabile.
Dunque, uno strumento a disposizione delle franchigie per non pagare a dovere i giocatori sono queste maledette franchise-tag, ma fidatevi cari lettori, questa è solo la punta dell’iceberg di un sistema che nella discussione del prossimo CBA probabilmente sarà a lungo dibattuto.

Il caso Donald, a mio avviso, rimane comunque il più assurdo, in quanto Los Angeles ha fra le mani un talento generazionale in grado di portare pressione al quarterback avversario come fosse un vero e proprio defensive end o outside linebacker pur giocando come defensive tackle e, occorre dirlo, non ha mai creato alcun grattacapo fuori dal campo: insomma, un giocatore da tenersi stretto ed in grado di svoltare il rendimento di una difesa con la sua sola presenza, un vero e proprio franchise player.

Com’è possibile non assecondare le richieste di Donald?

Eppure, un anno dopo aver messo le mani sul Defensive Player of the Year Award ed essersi assicurato la terza presenza consecutiva nel First Team All-Pro, verrà pagato come il 38esimo defensive linemen della lega, prendendo meno di giocatori come Denico Autry, Tyrone Crawford, Andre Branch o Allen Bailey, tutti buoni giocatori che però non hanno alcun motivo di trovarsi nella stessa conversazione di Aaron Donald.
Capire come mai i Rams non vogliano ricompensare il proprio big man è uno dei più grandi misteri dell’ultimo lustro NFL, e questa appassionata resistenza del front office rischia seriamente di contrariare il loro più prezioso asset: visto lo scoppiettante inizio di offseason è chiaro che i Rams siano in win now mode, quindi è assolutamente nel loro interesse pagare Donald nel 2018 come un average Joe, ma in caso di flop cosa potrebbe succedere? Donald potrebbe sicuramente guardarsi attorno ed accasarsi in una franchigia disposta a pagarlo per quello che è, ossia il miglior difensore della lega.

La questione contratti -soprattutto per quanto riguarda quelli dei rookie- verrà ampiamente dibattuta nelle negoziazioni del prossimo CBA, e questo già l’ho detto, ma proviamo ad allontanare la nostra lente d’ingrandimento dalla NFL curiosando un po’ nell’utopico mondo NBA.
Secondo le fonti di Sporting Intelligence, un contratto medio in NBA si aggira sui 7.1 milioni di dollari, esattamente il triplo dei 2.7 milioni di dollari guadagnati in media da un giocatore NFL: vi dirò di più, in quanto -se lasciamo fuori dal discorso la MLS- la National Football League, delle quattro leghe sportive più famose negli States, è quella che in media paga meno i propri atleti, nonostante sia quella che guadagna di più.

Difficile non darti ragione DeAngelo.

Ebbene sì, nonostante i 14 miliardi di dollari guadagnati nel 2016-2017 siano circa il doppio dei 7.37 ricavati dalla NBA, il miglior giocatore difensivo, Aaron Donald, viene pagato come un Boban Marjanovic qualunque che, nonostante sia un modello di vita da imitare e venerare, certamente non apporta alla squadra il contributo di Donald.
I giocatori percepiscono come la lega si stia continuamente arricchendo e, giustamente in quanto protagonisti attivi del tutto, vogliono la loro fetta di torta e possibilmente contratti meno truffaldini, poiché si sa, per quanto a volte un contratto NFL suoni bene, probabilmente dietro c’è il trucchetto: ed eccoci arrivare a Julio Jones.

A molti può sembrare alquanto inusuale la situazione Jones, poiché la data di firma del suo contratto risale al 2015, mica eoni fa, ma la sua natura esemplifica magnificamente tutto ciò che non va nei contratti di questa lega.
Partendo dalla premessa che stiamo parlando di uno dei migliori tre -se non il migliore- ricevitori di tutta la lega, nel 2016 Julio fu pagato come tale, in quanto i suoi 15.9 milioni di dollari lo portarono in cima alla graduatoria posizionale, ma già dal 2017 il discorso ha iniziato a cambiare, poiché da primo è precipitato a quinto con solamente 13.9 milioni, e non è finita qui, in quanto nella prossima stagione -salvo imprevisti- guadagnerà 10.5 milioni di dollari, il quattordicesimo contratto più remunerativo per un ricevitore in NFL.
È Julio Jones il quattordicesimo miglior ricevitore della NFL? Non diciamo fesserie.
Come dovrebbe sentirsi vedendo Matt Ryan divenire il quarterback più pagato della storia del gioco? Immaginiamo sia contento per lui in quanto suo amico, però occorre ricordare che dietro la stagione da MVP e l’approdo al Super Bowl ci sono sempre state le sicurissime mani di Jones, mani che hanno fatto sicuramente ben figurare il numero 2 dei Falcons in più occasioni.

Rodgers che tenta di sfuggire ai vincoli contrattuali.

La logica che governa i contratti NFL corre veloce, cambia di anno in anno e sicuramente un quinquennale rischia di diventare obsoleto in un paio di stagioni, e con i Garoppolo della situazione ovviamente questo processo accelera in modo repentino, motivo per il quale tenere d’occhio la situazione Packers-Rodgers potrebbe diventare l’unica speranza per un giocatore desideroso di ricevere un contratto direttamente proporzionale al proprio rendimento in campo.
Perché ho menzionato Rodgers? Perché secondo vari reports oltre ai soldi garantiti ed all’average per year Rodgers vorrebbe arrogarsi il diritto di determinare il suo futuro ottenendo una libertà contrattuale mai vista prima, un po’ come ha fatto Kirk Cousins che però non era propriamente sotto contratto con i Redskins, era sotto franchise-tag.
Come farà Rodgers ad ottenere il controllo del timone di quella magnifica nave che è la sua carriera? Per ora non saprei cosa dirvi, ma probabilmente se riuscirà a conseguire il proprio obiettivo potrebbe essere arrivata una svolta nella NFL, la lega nella quale un contratto da quattro-cinque anni ti ricompensa nei primi due per poi lasciarti salivare per i rimanenti tre: probabilmente questa è una tattica per tenere alta la motivazione di un giocatore, altrettanto probabilmente è solo un irrinunciabile espediente per mettere al loro posto tutti i singoli pezzi di quell’intricato puzzle chiamato “costruire un roster NFL”, ma in ogni caso possiamo stare sicuri che fra un paio di anni i giocatori alzeranno la voce e l’incubo lockout potrebbe tramutarsi in realtà proprio per questo motivo.