Gruden, il suo ego e Khalil Mack: analisi della trade dell’anno

Che ci trovassimo di fronte a qualcosa di paranormale lo si era capito da subito: dare un contratto della durata di una decade ad un allenatore fermo da altrettanti anni, pagandolo dieci milioni all’anno, ha rappresentato una cosa senza precedenti, poiché di fatto con quella firma a Gruden sono state consegnate le chiavi della squadra e di conseguenza potere illimitato.

Articolo a cura di Mattia Righetti di PlayitUSA

Non garantisci dieci milioni all’anno ad uno il cui unico compito è quello di disegnare giocate e sfruttare mismatch, un contratto del genere lascia facilmente intendere che le responsabilità del soggetto in questione trascendano X’s and O’s: McKenzie è GM solo di nome, in quanto l’imbarazzante empasse creatosi fra Gruden e Khalil Mack non è nato sicuramente per il volere di colui che lo ha portato nella lega assicurandoselo con la quinta chiamata assoluta nell’oramai leggendario draft del 2014 e che quasi sicuramente non avrebbe avuto alcun problema a pagarlo quanto e come desiderava.
Evidentemente, però, Gruden non risponde delle sue azioni nemmeno a quello che formalmente sarebbe un suo superiore, e ciò può causare parecchia confusione in uno spogliatoio, in quanto le scosse di assestamento provocate da un ribaltone societario così clamoroso si propagano fino all’ultimo anello di questa complicata ma non troppo catena alimentare: non va dimenticato che Mack di quello spogliatoio era il leader, il giocatore più forte ed un compagno amato e rispettato da chiunque.

Il draft del 2014 sembrava aver cambiato la storia dei Raiders: metà di questa storia è stata cancellata.

Andiamo con ordine.
Che Mack volesse un contratto che ricompensasse quattro anni di produzione fuori dal comune era risaputo, perciò è impossibile immaginare che Gruden prima di fare il suo ritorno in California non si aspettasse che tale questione venisse immediatamente a galla: la logica vorrebbe che già dal momento in cui si sono aperte le comunicazioni fra front office e allenatore quest’ultimo alzasse la cornetta e facesse due chiacchiere con quello che sarebbe stato il giocatore attorno al quale avrebbe costruito il reparto difensivo, ma come ben sappiamo non è andata così.
In un certo senso ciò lo si può pure comprendere, non avrebbe molto senso parlare di cifre ancor prima di diventare effettivamente l’allenatore della squadra in questione, ma nel momento in cui a metà dell’estate siamo venuti a conoscenza del fatto che fra pass rusher e coach non c’è mai stata alcuna forma di dialogo, la fine della storia ha iniziato a palesarsi: a Gruden di Mack e del suo contributo interessava gran poco, anzi, probabilmente nemmeno desiderava averlo a disposizione, ciò che contava veramente era uscire vincitore da tale, inutile, guerra fredda.
Dopotutto in questa NFL è veramente facile trovare un edge defender in grado di arrivare al quarterback praticamente a piacimento e di risultare altrettanto efficace nella difesa contro le corse: rimpiazzare un tre volte Pro Bowler e due volte First Team All-Pro -in sole quattro stagioni- nella contorta visione di Gruden deve essere veramente una cosa da niente, anche se forse nel momento in cui a filtrare la realtà hai un ego così gigantesco nulla può essere considerato impossibile.

Mosse del genere perplimono pure il maestro del nosense, Chip Kelly.

Capiamoci, la trade che porterà Mack ai Chicago Bears non ha dietro motivazioni tattiche, ma il semplice epilogo di una guerra di potere aggressivo-passiva vinta dal nuovo arrivato, dall’allenatore incaricato di consegnare un Super Bowl a quella società che nei prossimi anni saluterà Oakland per andare a Las Vegas: privarsi del proprio miglior giocatore deve essere, nella testa di Gruden, il miglior modo per creare interesse attorno ad una squadra in una città nuova.
Il raccapricciante one man show che sta mettendo in piedi Chucky mi ricorda molto da vicino quello di Chip Kelly agli Eagles: arrivo in pompa magna, sradicamento assoluto e damnatio memoriae di quanto fatto dal ciclo precedente e… licenziamento nel giro di due anni poiché a quanto pare per il buon Chip era più importante dimostrare che il SUO metodo rivoluzionario di interpretare il gioco del football americano era migliore di quello degli altri allenatori. Vincere? Non era quello il punto.
In questo caso è ancora troppo presto per parlare di record, partecipazioni ai playoff e vittorie, ma le mosse fatte in questa offseason non lasciano di sicuro presagire al meglio, poiché sono stati messi sotto contratto una batteria di giocatori attempati con il loro miglior football abbondantemente alle spalle, mentre è stata mostrata la porta ad ogni giocatore che li aveva resi grandi nel 2016, di gran lunga il miglior anno del loro ultimo decennio: mi ha particolarmente colpito il siluramento di Marquette King, uno dei migliori punter della lega, arrivato principalmente per eliminare dallo spogliatoio i germi di quella sua personalità così viva, divertente e giovanile che stride palesemente con la filosofia di Chucky.
Nei primi anni 2000 i giocatori non danzavano tanto come ai giorni nostri, uno non si deve meravigliare se un uomo che sembra aver vissuto gli ultimi dieci anni in ibernazione faccia fatica a comprendere gli usi ed i costumi di questa nuova NFL: giustificato?

Prima ho parlato di spogliatoio, leadership e compagni di squadre shockati: approfondiamo questo punto.

Ma soprattutto, ad una settimana dall’inizio della regular season, come si può sentire una squadra in mano ad un uomo che ha dimostrato di non guardare in faccia nessuno e per il quale l’unica cosa che conta è realizzare, qualsiasi esso sia, il suo piano?
Mesi e mesi di incertezza intorno al nome del loro amato compagno di squadra avranno sicuramente avuto qualche effetto sulla tenuta mentale del team, figuriamoci una trade arrivata dopo tutto ciò: è palese che la fiducia -ed anche il giudizio- nei confronti di Gruden sia mutata, così come è altrettanto facile che disprezzo, rancore ed antipatia verso il proprio allenatore siano presenti in ogni singolo armadietto all’interno di suddetto spogliatoio.

Per il principio del “tutto può succedere”, fra una mezza dozzina di mesi potrei ritrovarmi a celebrare i Raiders campioni del mondo tentando di farvi dimenticare quanto abbia inveito contro il loro architetto, ma oltre che ad essere improbabile, ciò viene controbilanciato dal fatto che secondo questo principio va tenuta in considerazione anche -e soprattutto- l’opzione che le cose possano andare decisamente male: nell’istante in cui firmi un contratto così duraturo e remunerativo sei ben conscio che di passi falsi te ne siano concessi veramente pochi, ma tutto sommato da un eventuale 6-10 si sarebbe potuto difendere rimarcando il fatto che il suo sia un progetto a lungo termine e che difficilmente il motivo per cui gli è stato garantito un contratto del genere fosse quello di vincere il Super Bowl immediatamente. Insomma, nonostante l’enorme circo mediatico creatosi intorno al personaggio, più che alla squadra, una stagione deludente prima di questa trade sarebbe stata accettata -più o meno- serenamente; provate ad immaginare un 6-10 dopo questa trade: nessuno si farà scrupoli a ricordare che per concludere con tale record non serviva pagare un allenatore dieci milioni all’anno -basta chiamare Fisher- e che il primo di settembre quest’individuo abbia spedito quello che avrebbe dovuto essere il punto di riferimento della propria squadra a Chicago al termine di una telenovela più ridicola che melodrammatica.
In caso di fallimento le pressioni su di lui potrebbero tranquillamente schiacciarlo, e nel quasi sicuro caso in cui gli sarà concesso il beneficio del dubbio rinnovandogli la fiducia questa pressione verrà ridistribuita a tutta la società e, considerando l’imminente ricollocamento, di pressioni aggiuntive i Raiders non ne hanno assolutamente bisogno: da questa reazione a catena potrebbero uscire potenzialmente distrutti.

Scusaci per le critiche, ma anche te… cerca di essere meno clamoroso!

Non è che nella storia NFL di mosse del genere non se ne siano mai viste, anzi, ma se buttiamo in un calderone tutte le premesse ed i vari retroscena otterremo un intruglio tanto vomitevole quanto innovativo: allenatore inattivo da anni iper-pagato più stella che vuole vedere la propria produzione ricompensata adeguatamente più silenzio prolungato per mesi sfociato in una trade “silenziosa” senza che allenatore/GM e giocatore si siano mai detti una parola… wow.
Non è che Oakland da tutto ciò non abbia ricavato nulla, anzi, si porterà a casa due scelte al primo round del draft, scelte che però da subito dovranno preoccuparsi di non far rimpiangere Mack, scelte che in poche parole secondo molti dovranno automaticamente diventare All-Pro: costruire dal draft è il miglior modo per avere successo in questa lega, ma non è così raro che un first rounder diventi “solamente” un affidabile starter e l’associazione di queste due parole da tifosi, front office e Gruden non potranno essere accettate. Nessuno cede il proprio miglior giocatore per un paio di prospetti di buon potenziale, l’idea è quella di cedere una stella già affermata per delle future stelle.
Sempre rifacendomi al principio menzionato in precedenza, è ovviamente possibile che in cambio di un All-Pro i Raiders ne guadagnino un paio, ma questi due ragazzi entreranno nella lega con pesanti aspettative sulle loro spalle, il che solitamente non porta a nulla di buono: gli ultimi anni di scelte accumulate di Cleveland ne sono il più clamoroso esempio.

Riuscirà Gruden a mantenere il controllo dei Raiders?

È ovvio che ci troviamo davanti ad una situazione che scava, nella ricca storia di questa squadra, un profondissimo solco fra “prima” e “dopo” e questa dopo sarà senza dubbio una delle trame più interessanti della prossima stagione e, vista la magnitudine del colpo, del prossimo lustro: state tranquilli che fra una ventina di anni si parlerà ancora di questa clamorosa trade sia nel caso in cui Gruden ed i Raiders ne escano clamorosamente umiliati o in quello, un po’ meno probabile, nel quale cedendo una “meteora” abbiano guadagnato due ottimi first rounder.
Qua stiamo scendendo nei meandri dell’eventualità e dell’ipoteticità, però potete rimanere sereni che ogni qualvolta Mack atterri un quarterback qualcuno scriverà di quanto accaduto il primo di settembre, così come dopo ogni sconfitta dei Raiders le critiche verso Gruden e la società che gli ha dato carta bianca per qualsiasi cosa saranno decisamente più aspre, ed è normale sia così: cancellare con un colpo di spugna una delle pochissime cose buone fatte nel decennio precedente è un modo tanto clamoroso quanto pericoloso per esporsi.
Anche se ciò probabilmente a Jon Gruden non dispiace nemmeno più di tanto.